
Un motivo di screzi tra condomini è l’immissione di cattivi odori, che può rappresentare un vero e proprio disagio all’interno di condomini multietnici o in presenza di fumatori.
Le norme che definiscono gli odori molesti in condominio
La vita in condominio non è sempre facile. A volte il buon senso e le diverse sensibilità dei vari condomini determinano screzi e litigi che possono guastare la quotidianità. Abbiamo già visto come i rumori molesti in condominio possono essere motivo lamentele da parte dei condominio. Ora ci occuperemo di un’altra spinosa questione: gli odori molesti in condominio e quando questi, secondo la legge, possono essere considerati tali.
L’ articolo 844 del codice civile
In caso di immissione di fumi o cattivi odori, potrebbe essere applicata l’Art. 844 del Codice Civile che stabilisce la riduzione delle immissioni intollerabili ed afferma che:
“Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”
Ciò vuol dire che i condomini devono in qualche modo “sopportare” gli odori molesti, a meno che non si superino i livelli di tollerabilità.
Chi stabilisce se un odore è tollerabile o meno?
Le norme nazionali non contengono disposizioni a riguardo o valori limite da non oltrepassare ma esiste una norma tecnica, la UNI EN 13725:2004 che per valutare in modo oggettivo l’incidenza di odori molesti all’interno di determinati ambienti, si avvale di specifiche analisi olfattometriche.
I risultati di tali analisi, però, non costituiscono riferimenti certi e assoluti poiché il livello di tollerabilità di un odore è totalmente soggettivo.
L’ odore del fumo della sigaretta in condominio
Tra gli odori che possono disturbare e creare a disagio, all’interno del condominio e non, c’è sicuramente quello proveniente dal fumo delle sigarette.
Il vicino può fumare sul suo balcone, pur essendo confinante con altri?
La risposta è sì: il proprio balcone di casa fa parte dell’appartamento ed è di “proprietà” del singolo condomino, per cui non gli si può vietare di fumare, ma si può fare appello al buon senso se, a causa delle sigarette, la libertà di uscire fuori al balcone viene limitata.
In questo caso specifico, l’amministratore di condominio non può intervenire in nessun modo, a meno che le emissioni di fumo non superino il livello di normale tollerabilità, che verrà stabilita dal giudice di pace di volta in volta.
Diversamente accade per i luoghi in comune del condominio, in cui è vietato fumare: in Italia dal 2003 esiste la legge Sirchia 3/2003 che vieta il fumo in tutti gli spazi chiusi pubblici e prevede che si possa fumare solo in aree dedicate e segnalate.
È compito dell’amministratore di condominio stilare un regolamento condominiale, con accordo unanime, in cui si specifica il divieto di fumare nei luoghi comuni, contrassegnati con una segnaletica adeguata, e far sì che questo venga rispettato.
Nel caso in cui la normativa non venga rispettata, l’amministratore di condominio può intervenire richiamando i trasgressori ed, in caso di inadempienza, segnalarli alle autorità competenti.
Quali sono le sanzioni per chi trasgredisce il divieto di fumare?
L’infrazione al divieto è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria, il cui importo va da un minimo di € 27,50 ad un massimo di € 275,00 in caso di recidiva, come stabilito dalla L. n. 311/2004, art. 1, comma 189 (legge finanziaria 2005).
Inoltre, la sanzione viene raddoppiata qualora la violazione sia commessa in presenza di una donna in evidente stato di gravidanza o di bambini fino a 12 anni.
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